ViaEmilia Doc Fest Modena 2023: uno sguardo sulla realtà

ViaEmilia Doc Fest Modena 2023

Uno sguardo sulla realtà attraverso quattro giorni di cinema documentario

Dal 16 al 19 novembre si è svolta la quattordicesima edizione del ViaEmiliaDoc Festival. Nel 2023, l’obiettivo è stato intrecciare il cinema documentario con la letteratura contemporanea e non solo. Quattro giornate al Cinema Astra di Modena ricche di scambi, riflessioni e sinergie. 

La prima giornata si è inaugurata con il documentario Bellezza, addio diretto da Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, sul poeta Dario Bellezza. Un ritratto intimo e sincero di un autore e della sua storia personale: nel 1996 uno scoop giornalistico rivela che Bellezza è stato colpito dall’AIDS e l’opinione pubblica lo mette alla gogna. È il racconto della nostra storia più recente ormai quasi dimenticata, una piccola luce su uno degli scrittori più importanti del ‘900. 

La giornata di venerdì si è aperta con la proiezione del documentario Il popolo delle donne di Yuri Ancarani, un’ora di intensa riflessione sul rapporto tra liberazione delle donne e aumento della violenza maschile. Ancarani mette al centro del suo racconto Marina Valcarenghi, psicoterapeuta e psicoanalista, vicina al mondo della politica durante gli anni Sessanta e Settanta. Il documentario è in grado di fare un’analisi lucida di un momento storico critico, senza retorica e con uno sguardo semplice ma diretto. 

Nel pomeriggio è stato il momento del documentario di Marco Turco, La generazione perduta. Una riflessione che prende le mosse dalla vita del giornalista Carlo Rivolta e si allarga a un momento storico difficile, a livello politico, per la grande frammentazione tra gruppi parlamentari, extraparlamentari e brigate rosse, e a livello sociale, con l’incombente epidemia di eroina. Il lavoro di Turco restituisce uno sguardo disincantato su un periodo storico di lotte, di fervida curiosità creativa e intellettuale, ma anche di cupezza quotidiana e paura di rimanere incastrati in dipendenze e mala informazione. 

Si è continuato con la visione dei cortometraggi del concorso “Meglio matti che corti”. Lavori nazionali e internazionali sulla salute mentale, le dipendenze, i rapporti di potere con gli altri e con il proprio corpo. Un’intensa carrellata di piccole gemme da tutto il mondo, compreso il cortometraggio irlandese che ha vinto come miglior opera agli Oscar di quest’anno. Una visione di sette opere fatta tutta d’un fiato che ha lasciato gli spettatori tutt’altro che indifferenti. 

La giornata si è conclusa con la visione di Svegliami a mezzanotte di Francesco Patierno, documentario di rimontaggio d’archivio, tratto dall’omonimo libro di Fuani Marino. L’opera ripercorre la vita della scrittrice e il suo tentato suicidio. Un racconto intimo e intenso che parla di rapporti, famiglia e malattia mentale, attraverso immagini mai retoriche o didascaliche ma anzi immaginifiche ed evocative. L’autrice racconta: questo film aveva l’obiettivo di normalizzare questo racconto, proprio perché è una vicenda umana accaduta realmente. Quest’esperienza non va celata, come si faceva in passato e come ci hanno insegnato. È importante superare il senso di colpa e di vergogna quando si hanno vissuto esperienze di questo tipo. Il tentativo è quello di rendere fruibile una storia del genere e far si che non ci sia più bisogno di una dose eccessiva di coraggio per parlarne

Il terzo giorno si è aperto con la presentazione del nuovo libro di Fuani Marino, Vecchiaccia, presso la Libreria Ubik di Modena. L’autrice in dialogo con Anna Ferri, giornalista ed esponente di Arci Modena, ha raccontato il suo rapporto con la vecchiaia e i vecchi, a partire dalla recente esperienza della pandemia da covid. Il libro, a metà tra saggio e narrativa, nasce da una shitstorm che ha colpito la scrittrice in seguito a un tweet controverso. La presentazione è stata un momento di riflessioni comuni su temi contemporanei, a partire da questo libro e da quello precedente, creando un momento di scambio e di raccoglimento.

Si è proseguito nel pomeriggio con una carrellata di eventi importanti, primo fra tutti, la presentazione del nuovo catalogo de L’Italia che non si vede. Un’accurata selezione di film fortemente indipendenti, che hanno girato per i più importanti festival europei, ma che hanno difficoltà nella diffusione nelle sale cinematografiche italiane. Uno dei film selezionati per la rassegna, After the bridge, di Davide Rizzo e Marzia Toscano è  stato proiettato subito dopo. Il progetto documenta la testimonianza di Valeria Collina, madre di uno dei membri del commando jihadista, ucciso durante un attacco terroristico a Londra. Ne parlano insieme il produttore e la protagonista:da parte dei registi c’è stata una capacità di equilibrio, non sono stati né troppo vicini, né troppo distanti da Valeria, altrimenti sarebbe venuto un altro film. I registi sono stati in grado di metterla in una giusta posizione per raccontarsi e per farlo nella maniera più opportuna e più comoda per lei, l’obiettivo è sempre stato farla sentire più a suo agio possibile. Il processo di scrittura è stato lunghissimo, questo film ha preso pieghe diverse nel tempo in base ai momenti di vita di Valeria, ed essendo un cinema verità, i due registi hanno seguito i processi messi in moto da Valeria stessa.” Lo sguardo delicato degli autori fa emergere una figura complessa e profonda con un dolore interiore che traspare dolcemente dalla pellicola. 

Le proiezioni si sono interrotte momentaneamente per la premiazione finale del festival. Il ViaEmiliaDoc ha infatti un concorso di cortometraggi documentari nati nelle scuole di cinema di Italia e Europa. Quest’anno i lavori visionati sono stati molti e di diversa natura, dalle tematiche sociali si passa a tematiche di stampo storico o relative, ancora, alla salute mentale e fisica, tema cardine e trasversale a questa edizione del festival. Il vincitore della giuria è Real guadagna di Laura D’Angeli e Giusi Restifo (Centro Sperimentale – Sede Sicilia), un piccolo ritratto del centro culturale Arcobaleno di Palermo. La menzione speciale va a Giorno per giorno di Gabriele Tavarilli (Scuola Holden) per aver avuto uno sguardo intimo su un tema difficile come quello della morte e della malattia.

Il pubblico online premia invece Pace e bene di Mariafrancesca Monsù (Centro Sperimentale – Sede Sicilia), un’immersione nella quotidianità di Santa Domenica Vittoria, un paesino vicino Messina, attraverso un confronto di immagini tra passato e presente. Il premio dER (documentaristi dell’Emilia Romagna) è stato consegnato al film Essere grande di Federica De Sciscio (Scuola Mohole) per aver affrontato il tema della sindrome di George nella quotidianità del suo protagonista. 

La giornata si è conclusa con la proiezione dell’acclamato documentario Le mie poesie non salveranno il mondo di Annalena Benini e Francesco Piccolo, presenti in una sala gremita di pubblico. Il film è un tributo alla “poeta” Patrizia Cavalli, i due autori l’hanno seguita e intervistata durante l’ultimo periodo della sua vita. Il risultato è un’esperienza cinematografica intensa: si ride, ci si commuove, ci si arricchisce di aneddoti culturali e quotidiani. L’immagine è quella di una donna libera, diretta, creativa, forza motrice, ironica. Benini ci racconta: Noi avevamo un’idea di quello che volevamo fare e l’idea era di un film libero, intimo, non cronologico e volevamo fosse l’incontro con lei mentre avviene l’incontro stesso. Quando siamo andati da lei a proproglielo, probabilmente questa è la cosa che più di ogni altro l’ha convinta a dirci di sì, semplicemente l’ha trovato divertente. Non avrebbe accettato nulla di didascalico, di pomposo e invece la possibilità di dirigere le danze, le piaceva. Era una conversazione tra amici.” continua Piccolo, l’idea era di seguire non il cosa ma il come, un parlare libero e fare un domino di quello che ci diceva, abbiamo condiviso l’idea che avremmo fatto un montaggio libero da cronologie, tutto emotivo”. 

Ascoltare l’incontro con Benini e Piccolo ci ha fatto entrare ancora di più nella struttura ossea di un pezzo di storia del ‘900 che avrebbe voluto “diventare ricca scrivendo canzoni per Laura Pausini”, una personalità di cui si sente già la mancanza. 

Il festival si è concluso la domenica con due proiezioni pomeridiane: Italo Calvino: lo scrittore sugli alberi di Duccio Chiarini e La solitudine è questa di Andrea Adriatico. Soffermandosi ancora sul rapporto tra cinema e letteratura, entrambi i film raccontano due figure cruciali del ‘900: Italo Calvino e Pier Vittorio Tondelli. Il primo lavoro racconta il rapporto tra l’autore e il Partito Comunista, e lo fa attraverso un dispositivo narrativo: prendendo spunto dalla trama de Il barone rampante si ripercorre il rapporto conflittuale con il partito, abbandonato in seguito alla brutale repressione della rivolta ungherese del ‘56. L’ultima pellicola racconta le opere di Tondelli, attraverso le voci di nuove generazioni di scrittori. Un road-doc nel quale due “intervist-attori”, Tobia De Angelis e Lorenzo Balducci, scoprono luoghi tondelliani e ascoltano spezzoni delle sue opere cult. 

Quattro giornate accese e vivaci che hanno aperto un dialogo intenso sul rapporto tra cinema e letteratura, ma soprattutto hanno dischiuso spazi di discussione su temi attuali che spesso rimangono inascoltati. Il ViaEmiliaDoc si conferma un luogo eterogeneo, contemporaneo e in grado di mettersi in relazione con il dibattito intellettuale, sociale e politico in corso. 

La strada dei Samouni

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

La strada dei Samouni

di Stefano Savona

Da quando la piccola Amal è tornata nel suo quartiere, ricorda solo un grande albero che non c’è più. Un sicomoro su cui lei e i suoi fratelli si arrampicavano. Si ricorda di quando portava il caffè a suo padre nel frutteto. Dopo è arrivata la guerra. Amal e i suoi fratelli hanno perso tutto. Sono figli della famiglia Samouni, dei contadini che abitano alla periferia della città di Gaza. È passato un anno da quando hanno sepolto i loro morti. Ora devono ricominciare a guardare al futuro, ricostruendo le loro case, il loro quartiere, la loro memoria. Sul filo dei ricordi, immagini reali e racconto animato si alternano a disegnare un ritratto di famiglia, prima, dopo e durante i tragici avvenimenti che hanno stravolto le loro vite in quel gennaio del 2009, quando, durante l’operazione ‘Piombo fuso’, vengono massacrati 29 membri della famiglia.

Il commento di Stefano Savona

«Nel gennaio 2009, durante l’operazione militare israeliana a Gaza sono riuscito a infiltrarmi nella Striscia attraverso la frontiera egiziana, per realizzare un diario filmato di quei giorni di guerra che poi è diventato il mio film Piombo Fuso. Il 20 gennaio, in seguito alla ritirata dell’esercito israeliano, ho potuto raggiungere il nord della Striscia e la città di Gaza dove sono entrato in contatto con la famiglia allargata dei Samouni, una comunità di contadini, sino ad allora sopravvissuta miracolosamente a 60 anni di conflitti e occupazioni, che si confrontava per la prima volta con una tragedia senza precedenti. Sin dall’inizio non ho avuto alcun dubbio: il mio film non si poteva ridurre al mero rendiconto del massacro, al com- pianto sulla tragedia o alla denuncia di un’ingiustizia. Le televisioni e i giornali del mondo intero in quei giorni dopo la fine della guerra stavano già offrendo al mondo in ogni più macabro dettaglio il racconto di quella tragedia, mentre i principali partiti politici di Gaza, da Hamas alla Jihad Islamica, provavano in tutti i modi ad appro- priarsi di quei lutti per la loro propaganda. Ma una volta che le televisioni sono andate via e i funerali terminati, i Samouni sono restati soli».

Un giorno all’improvviso

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

Un giorno all’improvviso

di Ciro D’Emilio

Antonio ha diciassette anni e un sogno: essere un calciatore in una grande squadra. Vive in una piccola cittadina di una provincia campana, una terra in cui cavarsela non è sempre così facile.

A rendere ancora più complessa la situazione c’è la bellissima Miriam, una madre dolce ma fortemente problematica che lui ama più di ogni altra persona al mondo. Carlo, il padre di Antonio, li ha abbandonati quando lui era molto piccolo e Miriam è ossessionata dall’idea di ricostruire la famiglia. Per fortuna c’è il calcio e, soprattutto, ci sono gli amici: Stefano, centravanti della squadra, e Peppe, fantasista dalla battuta sempre pronta, perditempo per vocazione e con il fiuto per cacciarsi sempre nei guai. All’improvviso la vita sembra regalare ad Antonio e Miriam una vera occasione: un talent scout sta cercando delle giovani promesse da por- tare nella Primavera del Parma Calcio e, quando vede giocare Antonio in campo, è una vera rivelazione. Ma ogni sogno ha un prezzo molto alto.

Il commento di Ciro D’Emilio

«Quando ho deciso di realizzare questo film, volevo una storia priva di compromessi, radicale, estrema. Raccontare il tema dell’abbandono dell’adolescenza attraverso una storia d’amore tra un figlio e una madre mi ha permesso di rendere tutto più concreto, visibile, tangibile. La scelta ardua è stata quella di abolire ogni possibile punto di vista diverso da quello del protagonista. Antonio e di conseguenza noi viviamo credendo agli avvenimenti e accettando le esperienze, quasi dimenticando ogni volta che da soli è dura farcela senza prendere schiaffi in faccia. Perché un giorno, all’improvviso, la vita ti si rovescia contro».

Styx

EVENTI

STYX

di Wolfgang Fischer

Proiezione in prima visione

Nei giorni 1 e 2 dicembre 2018 Ucca tiene a Piacenza il suo 14esimo Congresso Nazionale e regala ai piacentini la proiezione inedita del film STYX grazie alla collaborazione di Editoriale Libertà e di Cineclub Internazionale.

Sabato 1 dicembre 2018 ore 21:30 allo Spazio Le Rotative di Editoriale Libertà (Via Benedettine, 66) Ucca propone la proiezione del film STYX di Wolfgang Fischer con Susanne Wolf (Germania-Austria 2018, 94 minuti, VO con sottotitoli in italiano). Ingresso gratuito.

Styx è la storia della trasformazione di una forte donna borghese strappata dal suo mondo felice durante un viaggio in barca a vela. Si troverà presto coinvolta in un vortice di azioni e di fronte a un dilemma morale.
Il film ha ricevuto il Premio Label Europa Cinemas e il Premio Giuria Ecumenica al Festival di Berlino 2018. È uno dei tre film finalisti al Premio Lux 2018 ed è tra i sei film nominati per il miglior film del Premio Eufa (Oscar Europei Universitari) nel 2018. La sua prima proiezione mondiale ha aperto la sezione Panorama al Festival di Berlino di quest’anno.

Il film sarà introdotto dal distributore Paolo Minuto (Cineclub Internazionale) e da Roberto Roversi (Ucca).

Il film è quasi senza dialoghi e i pochi dialoghi sono quasi tutti in inglese; la proiezione sarà in versione originale con sottotitoli in italiano nei pochi passaggi dialogati.

La proiezione è aperta al pubblico fino a esaurimento posti.

Iuventa

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

IUVENTA

di Michele Cinque

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Il film racconta gli eventi di un anno cruciale della vita di un gruppo di giovani europei, tutti con differenti ruoli impegnati nel progetto umanitario della ONG Jugend Rettet: dal primo viaggio della nave Iuventa nel Mediterraneo fino alle pesanti accuse che oltre un anno dopo hanno portato al sequestro preventivo della nave nell’ambito di un’indagine sull’immigrazione clandestina.

L’obiettivo della ONG dalla sua formazione è sempre stato quello di dimostrare che un programma di salvataggio nel Mediterraneo è non solo necessario ma anche un dovere morale dell’Europa: i giovani di Jugend Rettet non hanno mai pensato di rappresentare niente di più che una soluzione temporanea al vuoto lasciato dall’Europa all’indomani della chiusura di Mare Nostrum.

La narrazione del film è costruita dalla partenza dal porto di Malta al ritorno della nave al porto della Valletta dopo 15 giorni in mare in cui sono state salvate oltre 2000 persone. Dopo la prima missione il film ci porta a Berlino e in Italia dove il futuro di Jugend Rettet viene messo in discussione.

“La prima volta che ho sentito parlare della Iuventa è stato nella tarda primavera del 2016 quando Jugend Rettet, fondata nel 2015 dal diciannovenne Jakob Schoen e da alcuni suoi coetanei di Berlino, ha lanciato pubblicamente il suo programma di azioni. Agli inizi di giugno del 2016 la Iuventa (originariamente un peschereccio di circa 30 metri convertito in nave di salvataggio) ha lasciato il porto di Emden in Germania alla volta di Malta da cui sarebbero di li a poco partite le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Immediatamente sono stato colpito dalla storia, percependo la sua importanza sia da un punto di vista simbolico che reale. Erano già presenti tutti gli elementi chiave: la giovanissima età dei protagonisti, lo slancio utopico che li aveva spinti a lanciarsi in questa impresa, il desiderio di cambiare il mondo e una grande forza di volontà che, come era prevedibile, li avrebbe portati a un certo punto a scontrarsi con la durezza della realtà” (Michele Cinque)

Sembra mio figlio

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

SEMBRA MIO FIGLIO

di Costanza Quatriglio

Scappato dall’Afghanistan quando era ancora un bambino, Ismail vive in Europa con il fratello Hassan. La madre, che non ha mai smesso di attendere notizie dei suoi figli, oggi non lo riconosce.

Dopo diverse e inquiete telefonate, Ismail andrà incontro al destino della sua famiglia facendo i conti con l’insensatezza della guerra e con la storia della sua gente, il popolo Hazara.

«Un figlio si rivolge alla madre creduta morta fino a quel momento, ma lei non lo riconosce. Da quell’istante una forza misteriosa lo porta alla ricerca del modo per ricongiungersi a lei. Il corpo di Ismail, la mitezza del suo viso, la sua voce sospesa tra gli angoli più angusti dell’Europa, ci conducono in un altrove che ci appartiene molto di più di quanto siamo disposti a immaginare: dall’evocazione di posti lontani nel tempo e nello spazio a una concretezza fatta di carne e sangue, il film viaggia alla ricerca di risposte che non esistono; ad esistere è la possibilità, per Ismail, di prendersi la parola, quella parola negata perché nessuno, fino a quel momento, l’ha ascoltata. Nella lingua madre riconosciamo la lingua del mondo, della pietà antica che non ha patria né paese né confini né frontiere» (Costanza Quatriglio)

Zen – Sul ghiaccio sottile

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

ZEN – SUL GHIACCIO SOTTILE

di Margherita Ferri

Maia, detta Zen, è una sedicenne irrequieta e solitaria che vive in un piccolo paese dell’Appennino emiliano. È l’unica femmina della squadra di hockey locale e i suoi compagni non perdono occasione di bullizzarla per il suo essere maschiaccio. Quando Vanessa – l’intrigante e confusa fidanzata di un giocatore della squadra – scappa di casa e si nasconde nel rifugio della madre di Maia, tra le due nasce un legame e Maia riesce per la prima volta a confidare i dubbi sulla propria identità di genere. Entrambe spinte dal bisogno di uscire dai ruoli che la piccola comunità le ha forzate a interpretare, Maia e Vanessa iniziano così un percorso alla ricerca della propria identità e sessualità, liquide e inquiete come solo l’adolescenza sa essere.

Zen sul ghiaccio sottile è una storia di formazione, che segue il percorso emotivo di Maia, detta Zen: un’adolescente in cerca della propria identità di genere, per questo incompresa e bullizzata dai propri coetanei. Come regista, mi è sempre interessato dare vita e centralità a personaggi che vivono ai margini delle proprie comunità. Il film infatti racconta il disagio e le lotte che deve affrontare chi non si conforma ai ruoli di genere e all’eteronormatività imposta dalla nostra società.
Ho cercato di raccontare la storia di Maia giustapponendo le sue emozioni al paesaggio dell’Appennino emiliano, bellissimo e dimenticato. Ho voluto esplorare la relazione tra la “produzione del paesaggio” e l’identità di chi vive quei territori, lavorando sull’idea di “paesaggio emotivo”: uno strumento per stimolare lo spettatore visivamente e accompagnarlo nella dimensione più profonda dei personaggi”. 
(Margherita Ferri)

Il clan dei ricciai

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

IL CLAN DEI RICCIAI

di Pietro Mereu

Il Clan dei ricciai” è la storia di un gruppo di pescatori di Cagliari che hanno avuto problemi con la giustizia in passato. Il boss di questo clan è Gesuino Banchero, disposto a dare un’altra occasione a questi uomini, offrendo loro la possibilità di condurre la propria vita in modo onesto e aiutandoli ad integrarsi nuovamente nella comunità.

 “Nel “Clan dei Ricciai” i protagonisti sono dei sopravvissuti alla galera: alcuni da questa esperienza sono usciti distrutti psicologicamente e fisicamente, altri ne hanno fatto un punto di forza. Il comune denominatore di tutti i protagonisti è l’essere nati in contesti sociali difficili, ed essere esponenti di una vecchia malavita cagliaritana che ormai sta scomparendo. Raccontano di codici di rispetto che ormai nessuno applica più, parlano il gergo del carcere cagliaritano, hanno sulla pelle tatuaggi che riportano inequivocabilmente all’ambiente carcerario. Il lavoro dei ricciai nasce da persone che, uscendo dal carcere, si trovano senza lavoro e prendendo una barca si mettono a pescare ricci e altri frutti di mare, un’occasione di riscatto e sostentamento che è diventata una tradizione storica nella città di Cagliari. Le famiglie di provenienza dei protagonisti sono violente, difficili, poco presenti, per cui il carcere diventa un rito obbligatorio e di passaggio per avere un biglietto da visita nel mondo criminale che è quello che regna in questi quartieri. Gesuino, rispetto agli altri, frequenta anche la buona società cagliaritana e definisce la sua barca ”Un ponte” tra il mondo della strada e della criminalità e il mondo rispettabile dei colletti bianchi. Attraverso il lavoro ha trovato un riscatto, e aiuta centinaia di persone del suo quartiere”. (Pietro Mereu)