Ovvero: esiste un rapporto di causa/effetto tra la legge Franceschini – Giacomelli e:
a) il crollo di incassi e presenze del cinema in sala degli ultimi 2 anni?
b) i tagli e i ritardi che stanno prosciugando le già esangui risorse delle associazioni di cultura cinematografica?
Partendo dalla prima questione, è difficile dare una risposta univoca, tanti sono i fattori che vanno presi in considerazione. Certo, occorre sempre partire dai dati, che purtroppo, soprattutto nell’ultimo biennio, sono impietosi. Se il mercato, dopo l’avvento dei multiplex, è rimasto sostanzialmente stabile dalla fine del secolo scorso, proprio dopo l’emanazione della Legge Cinema ha subito una brusca contrazione.
Gli ultimi dati che abbiamo a disposizione (ottobre 2018, fonte ANEC/Cinetel), fanno segnare addirittura un calo di presenze del 20,59% rispetto allo stesso periodo del 2016: in sostanza, in 2 anni, abbiamo perso uno spettatore su 5.
Per il comparto theatrical, già stremato da una crisi strutturale, corrisponde ad un crollo degli incassi pari al 20,16%, che appare insostenibile a fronte di costi di esercizio crescenti e ad un prodotto, soprattutto domestico, che non sembra più incontrare il gusto del pubblico. Può trattarsi naturalmente di un fenomeno reversibile, ma ci si aspetterebbe una reazione forte delle associazioni di categoria e, più in generale, dell’industria. Tanto più che la sofferenza si riflette sia nei multiplex che nelle sale d’essai. E che proprio nei giorni scorsi sono state annunciate nuove chiusure di strutture “storiche” della Capitale (il “Maestoso”, prima multisala di Roma, il “Reale” su viale Trastevere e il “Royal” all’Esquilino) per il momento mascherate da presunte “ristrutturazioni”, ma probabilmente dovute ad una situazione pre-fallimentare del Gruppo Ferrero.
A fronte di risultati che dovrebbero stimolare interrogativi profondi, ANICA, come sempre, minimizza: nessuna traccia di autocritica, nell’attesa messianica che la nuova legge faccia il suo corso e l’intera industria possa godere delle sue inevitabili ricadute positive.
Per cui organizza a cascata una pletora di inutili convegni su “dove va il cinema italiano” e “come rilanciare il cinema italiano”. Con la stucchevole riproposizione dei soliti problemi, sempre gli stessi, cui nessuno ha (almeno) tentato di porre un argine.
La stagionalità: rispetto agli altri paesi in Italia durante l’intera estate non escono film importanti.
L’accesso al prodotto: gli esercenti non possono scegliere i film da programmare nelle loro sale.
Il sovraffollamento di titoli simili: si cannibalizzano a vicenda, in pochi mesi, talvolta in poche settimane, per cui nessuno di essi può realizzare la sua migliore performance al box office. L’eccessivo numero di film prodotti e distribuiti rispetto alla capacità di assorbimento del circuito.
L’invecchiamento del pubblico e il mancato ricambio generazionale.
E certo, la pirateria, poteva mancare? E Netflix, ovviamente. Come se esistessero solo in Italia; eccetto che negli altri Paesi gli incassi sono stabili o in ascesa.
I rimedi sarebbero talmente banali che non vale neppure la pena elencarli. Quella che manca è la volontà di perdere risibili rendite di posizione da parte di un comparto caratterizzato da rara litigiosità e scarsa lungimiranza. L’assenza di una vera strategia di medio periodo che dovrebbe coinvolgere tutta la filiera. Meglio l’immobilismo, guai uscire dalla propria comfort zone per applicare pratiche che funzionano perfettamente all’estero.
Di fatto, a meno di improbabili e miracolosi recuperi negli ultimi due mesi del 2018, ci aspetta un secondo, consecutivo tonfo del box office. E se l’anno scorso da più parti venne invocata come giustificazione l’assenza di un film di Checco Zalone (ma può definirsi “sana” un’industria creativa che poggia su un solo titolo forte a stagione?), nel 2018 non ci saranno alibi e sarà necessario fare i conti con un dato ineludibile: il cinema in sala nel nostro Paese ha sempre meno appeal e si avvicina al collasso.
Abbiamo già accennato alla sospetta coincidenza tra l’approvazione della nuova Legge sul Cinema e l’Audiovisivo e la difficile situazione che si è determinata proprio a partire da quel momento. Torniamo allora al 14 novembre 2016, giorno in cui l’ex-ministro Franceschini esultava: “ Grazie alla Camera dei Deputati che ha consentito un celere esame del provvedimento, il ddl cinema è legge. L’approvazione rapida e senza modifiche del testo permetterà che questa legge entri in vigore, già con i decreti attuativi, dal gennaio 2017”. Si trattava evidentemente di un classico caso di “annuncite”, malattia senile del renzismo allora imperante, che spacciava la legge come auto-applicativa; in realtà sarebbero serviti circa 15 mesi perché giungessero a compimento tutti gli atti connessi: audizioni, deleghe, decreti attuativi, decreti direttoriali, circolari, bandi.
In mancanza di disposizioni transitorie che garantissero la continuità amministrativa, il 2017 si è rivelato essere un anno di totale stasi per l’intero comparto: la stessa Direzione Generale Cinema, che non dispone di sufficiente personale per far fronte ai cambiamenti epocali di una legge di sistema, ha accumulato ritardi che si sono riverberati nell’anno in corso. Di fatto è oggi impossibile prevedere quando la normativa andrà realmente a regime e potrà esprimere appieno tutte le sue (presunte) potenzialità: gli osservatori più accorti parlano di 3-5 anni.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di Legge Cinema? E soprattutto che effetti avrà (sta già avendo, in realtà) sulla nostra associazione?
Va precisato innanzitutto che la normativa non è stata concepita per il solo segmento theatrical, ma ha l’ambizione di regolamentare l’intero universo dell’audiovisivo, mai come ora sfuggente e in piena trasformazione: quindi include la serialità televisiva, il web e finanche le opere videoludiche (i videogames, per farla breve).
Va altresì ricordato che la riforma ha sostituito un impianto legislativo confuso e frammentato, regolato da un complesso di norme alcune delle quali risalivano al lontano 1965.
Una prima bozza, primi firmatari Di Giorgi – Zavoli, è stata elaborata nel 2015 e subito archiviata: si trattava di fatto di un calco della normativa francese, per distacco la più avanzata d’Europa, che infatti continua a dare ottimi frutti: l’industria cinematografica transalpina stacca oltre il doppio dei biglietti di quella italiana e protegge con cura il prodotto domestico e il segmento theatrical (si veda, in merito, l’embargo da parte del Festival di Cannes dei prodotti Netflix).
La bozza è evidentemente apparsa troppo rivoluzionaria e la riforma è passata direttamente nelle mani del Ministro che, con l’endorsement di quattro premi Oscar quali Bertolucci, Sorrentino, Benigni e Tornatore, a gennaio 2016 poteva annunciare trionfalmente l’approvazione del ddl Cinema, poi ratificato dal Parlamento a larga maggioranza nel novembre dello stesso anno.
Fin qui la cronologia. Entrare compiutamente nel merito della riforma è impresa assai ardua: si tratta di un’ambiziosa e complessa legge-quadro che fissa alcuni punti-cardine, destinati però a sviluppare effetti fecondi o perversi a seconda dei successivi, e futuri, decreti attuativi e bandi. Ci sia perdonata perciò una drastica semplificazione dell’articolato.
La nostra impressione è che la legge soffra di un impianto conservativo e inerziale e che non affronti di petto le vere criticità del nostro sistema audiovisivo. E che soprattutto sia totalmente sbilanciata a favore del côté industriale rispetto a quello culturale del comparto cinematografico.
Una prima novità è quella della stabilizzazione dei contributo statale all’audiovisivo: almeno 400 milioni l’anno, di cui circa la metà mediante lo strumento del tax credit. Vedremo che nei fatti le cose non stanno esattamente così; in ogni caso il sostegno al cinema viene scorporato dal FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) e quindi viene esonerato dalle temute oscillazioni che anno dopo anno il Fondo rischiava di subire.
La seconda innovazione è la suddivisione tra contributi automatici e selettivi: e qui iniziano le prime criticità.
La Legge abolisce le Commissioni Ministeriali per l’attribuzione dei finanziamenti in base al cosiddetto “interesse culturale” e introduce un sistema di incentivi automatici per le opere di nazionalità italiana, la cui quantificazione avviene secondo parametri oggettivi, che tengono conto dei risultati economici, artistici e di diffusione.
Il sostegno più prettamente “culturale” viene garantito dai contributi selettivi, destinati ad opere prime e seconde, realizzate da giovani autori, ai film “difficili” realizzati con modeste risorse finanziarie e alle opere di particolare qualità artistica.
Sembrerebbe prima facie un compromesso accettabile tra cinema commerciale e di qualità, tra industria e creatività, non fosse che i contributi selettivi possono attingere soltanto al 18% del Fondo e che tale percentuale comprende inspiegabilmente anche i finanziamenti per Istituto Luce – Cinecittà, Centro Sperimentale di Cinematografia, Biennale di Venezia, Cineteca di Bologna e Museo del Cinema di Torino, per cui di fatto si riducono all’8%.
In definitiva, prendendo come riferimento il riparto 2018, si evince che, dei 400 milioni del nuovo Fondo, solo 32 sono assegnati in forma selettiva, cioè sulla base del contenuto delle domande, mentre 277 in modalità automatica (considerando il credito d’imposta una forma di automatismo).
Ora, è di tutta evidenza che uno sbilanciamento di tali proporzioni, se non interverranno correzioni, ha come effetto un enorme beneficio per le grandi produzioni (cinematografiche e, non dimentichiamo, televisive), il perdurante nanismo delle start-up, l’estrema difficoltà che nuovi player possano crescere e inserirsi nel novero dei soggetti più forti. In definitiva, a noi pare una legge fortemente orientata al sostegno delle imprese più che a quello degli autori, che non aiuta il cinema di ricerca ma supporta la qualità media della serialità televisiva, che non sostiene una salutare ricambio generazionale.
Stante il nostro giudizio fortemente critico sulla riforma, per onestà intellettuale vanno riconosciuti alcuni provvedimenti che accogliamo con piacere, come il “piano per il potenziamento delle sale” e, soprattutto, come il 3% del Fondo riservato al Piano Nazionale Cinema per la Scuola: è da tempo immemore che invocavamo un deciso intervento orientato alla promozione della didattica del linguaggio audiovisivo e all’acquisizione di strumenti e metodi di analisi che favoriscano la conoscenza della grammatica delle immagini e la consapevolezza della natura e della specificità del loro funzionamento. L’utilizzo dell’opera cinematografica quale strumento educativo trasversale non potrà che dare frutti nel medio periodo, tuttavia si tratta di una svolta che va accolta con fiducia e apprezzamento.
Legge Cinema e Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica (AANNCC)
La nuova normativa (art. 27, lettera g) riconosce le AANNCC e sostiene “l’attività di diffusione della cultura cinematografica svolta dalle associazioni nazionali di cultura cinematografica”. Non sembri un risultato scontato. Durante la stesura del testo definitivo della legge, nel corso di incontri ufficiali e informali, la Direzione Generale Cinema (DGC) non ha mai nascosto la scarsa se non nulla considerazione riposta nell’attività delle AANNCC, ritenute un retaggio del passato e, nel migliore dei casi, strutture inadeguate a supportare l’approccio “industriale” della riforma. È servita una serrata interlocuzione e un’altrettanto incalzante opera di moral suasion per giungere al riconoscimento del nostro ruolo (per quanto, abbastanza incongruamente, associato a quello delle Sale di Comunità, che svolgono un lavoro meritorio, ma certamente non sovrapponibile a quello delle Associazioni).
La convinzione che si trattasse di una ben magra soddisfazione ha cominciato a prendere forma con l’emanazione del Decreto Ministeriale del 31 luglio e ha ricevuto conferma con la pubblicazione del bando per i cinecircoli, avvenuto il 1° dicembre 2017 (con scadenza al 31 dicembre, poi prorogata due volte fino al 15 gennaio 2018).
Proviamo a semplificare: il MiBACT ha pubblicato un bando chiedendoci un preventivo per il 2017 ad anno concluso, attività già svolte, spese già sostenute o risorse già impegnate.
La delibera relativa al sostegno delle AANNCC per il 2017 è arrivata il 19 giugno 2018, con la pessima sorpresa che tutte le 9 Associazioni si sono viste decurtate le relative richieste di contributo, mediamente del 30%, rispetto al 2016.
Delle risorse stanziate dal bando per le AANNCC (960.000 euro) ne sono state misteriosamente ripartite solo 658.000. Per avere un riferimento storico degli ultimi anni, erano state 900.000 nel 2016 e 1.000.000 nel 2015.
Ucca si è vista assegnare 90.000 euro contro i 120.000 del 2016 e i 130.000 del 2015. “Assegnare” non significa “liquidare”, per cui, dopo il consuntivo 2017 presentato entro il 30 settembre 2018, siamo tuttora in attesa di incassare tali risorse.
Di fatto, l’ultimo contributo ricevuto dal MiBAC (ora senza T, visto che il Turismo è stato inspiegabilmente accorpato all’Agricoltura) è quello relativo al 2016.
Ciliegina sulla torta, a tutt’oggi non è ancora stato pubblicato il bando per il 2018, ad anno quasi concluso.
Ad altre associazioni è andata molto peggio: UICC > 40.000 euro, FEDIC > 39.000 euro, ad esempio. La convinzione che sta maturando è che la DGC, non potendo sopprimere le AANNCC in quanto previste espressamente dalla legge, le intenda quanto meno indebolire usando la leva economica.
In conclusione: durante i 4 anni dell’ultima consiliatura abbiamo ricevuto per ora solo 2 contributi ministeriali, i ritardi si stanno ulteriormente accumulando, le risorse di un importante sponsor privato che ci hanno dato un po’ di respiro sono venute meno e attualmente possiamo proseguire le nostre attività solamente grazie agli anticipi di Arci.
È uno scenario con tante incognite quello che il nuovo gruppo dirigente erediterà, ma che per onestà intellettuale non va taciuto. Tanto più in una temperie politica che, quanto meno in ambito culturale, sembra ben poco rassicurante per il futuro.
Non dimentichiamo infatti che, dall’insediamento del nuovo Esecutivo, il Ministro Bonisoli e la Sottosegretaria con delega al cinema Borgonzoni, hanno di fatto dedicato una sola mattinata all’audizione dell’intero comparto, riservando 5 minuti ad ogni associazione di categoria e che il primo provvedimento concreto prevede misure fortemente vessatorie per gli esercenti.
È quanto emerge dall’art. 59 della Legge di Bilancio 2019, “Ulteriori misure di riduzione della spesa”, con riferimento all’art.18, comma 1 della Legge Cinema, sui crediti di imposta per la programmazione di film italiani ed europei, che dispone 4 milioni di euro di riduzione del credito d’imposta per gli esercenti cinematografici dal 2020 (i quali, sia detto per inciso, vanno ad aggiungersi ai 20 milioni di euro di tagli per il Bonus Cultura riservato ai diciottenni per il 2019, ai 2,3 milioni per i musei autonomi, agli 1,25 milioni per i crediti d’imposta delle librerie e ai 375.000 euro per le case editrici).
Del resto, le prime uscite del Ministro non erano state incoraggianti: si è dichiarato un estimatore della riforma (unico appunto mosso all’articolato: “forse vanno semplificate alcune modalità di applicazione”) ed è apparso ottimista sullo stato di salute del cinema italiano (“ho trovato segnali di forza e competitività”).
Quanto meno, pochi giorni fa, ha annunciato la firma del decreto attuativo della Legge Cinema che conferma la window di 105 giorni tra l’uscita theatrical e le altre modalità di sfruttamento dei film nazionali, obbligo che finora discendeva da una semplice prassi (non sempre rispettata, soprattutto ultimamente) e non da una normativa specifica: un’attenzione non scontata per ribadire la centralità della sala cinematografica.
Quanto poi all’esordio della sottosegretaria, non è sembrato portare acqua al mulino della valorizzazione della competenza sbandierata dal Governo del Cambiamento (“l’ultimo film al cinema l’ho visto 7 mesi fa, ma non mi ricordo il titolo”).
In definitiva, al netto della totale mancanza di attenzione per la cultura già ostentata nel “Contratto di Governo” e della fluidità dell’attuale scenario politico, per il prossimo futuro sarà necessario mettere in campo tutte le capacità di vigilanza, contrasto e resilienza di cui siamo capaci.